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Stemma di Ittiri

IL SIGILLO

I cenni storici evidenziano i numerosi villaggi appartenuti alla Curatoria di Coros, di cui sono rimasti solo cinque paesi, tra i quali Ittiri, tra cui territorio insistono le due chiese cistercensi. Di questo periodo è il sigillo che viene descritto dal canonico Spano che viene riportato presso il museo nazionale di Cagliari.

In seguito ai rilievi proposti dall'uscio Araldico, la scritta del sigillo riportata ai bordi dello stesso, non poteva comparire all'interno dello Stemma, conseguentemente si è dovuto riportare il motto sotto lo scudo, su lista bifida e svolazzante di azzurro. Il motto modificato nella forma in funzione della nuova esigenza, è riformulato nel modo seguente "Sancta Maria de Paulis et Choro sedes et origo'' ( Santa Maria di Paulis e di Coros, possono considerarsi sede ed origine ''di Ittiri'').

Il motto riproposto nella forma adottata definitamente nello stemma, individua ed esprime sinteticamente la possibile origine di lttiri come "fuoco'' collegato ai numerosi esistenti e operanti intorno all'abbazia di S.Maria di Paulis e a quelli ricadenti intorno all'eremo di Coros.

Il personaggio è fornito di una barba di media lunghezza e di una folta capigliatura, è in piedi su un edificio a forma di torre: veste una lunga tunica con drappeggio che si raccoglie nella spalla sinistra, nella mano sinistra tiene il bordone (grosso bastone con manico ricurvo usato dai pellegrini), nella destra un libro chiuso, mentre sotto la veste, spuntano i grani di del rosario.


Si ritiene che non si tratti di un monaco. Infatti ai monaci in quel periodo non era permesso l'uso della barba né della folta capigliatura che invece sono presenti nel personaggio raffigurato. La veste non sembrerebbe quella di un monaco, ma cli un pellegrino. Anche il bastone, il libro ed il rosario, richiamano gli oggetti che accompagnavano i pellegrini. (cfr. Schema 0) Alcuni studiosi ipotizzano che siano la rappresentazione dii Comita, giudice di Torres, fondatore e benefattore dell'abbazia di Paulis, o Gonario pio giudice, pellegrino in terra santa, al quale si deve la penetrazione dei monaci cistercensi in Sardegna.

 

LE CANNE

Per quanto riguarda la raffigurazione delle canne, inserita nel quarto superiore sinistro dello stemma, le stesse si richiamano al nome ed al sito con il quale veniva ulteriormente identificato lttiri.
Il nome di lttiri, seguito al toponimo Cannedu, nel suo sviluppo temporale, (Cannetum, Caneto, Cannetti, Canedo), trova anch'esso riscontro in numerosi documenti storici medievali.

Le Rationes Decimarum Sardiniae, documentano specificamente l'esistenza del pagamento di decime da parte del villaggio di Caneto.
Il Fara nel suo De Rebus Sardois, attesta l'esistenza di un villaggio denominato Cannedu (Canedo), con una popolazione di 140 abitanti, con 22 fuochi e 30 uomini d'armi.

 

LE SPIGHE DI GRANO

Il quarto inferiore sinistro, raffigura tre spighe di grano. Infatti l'economia di lttiri ha avuto come predominante un'agricoltura estensiva di tipo cerealicolo.
Nel XVIII secolo il feudo di lttiri aveva due regioni nelle quali erano situate le "Vidazzoni'' Coros e Paulis con un'estensione di 8.913,17 starelli. Da quella di Coros si ricavavano dai settanta ai settantacinque rasieri di grano ed altrettanti di orzo. Da quella di Paulis invece, dai settanta agli ottanta rasieri di grano ed altrettanti di orzo.

Nel 1840 l'agricoltura era ancora la componente principale dell'economia del paese, si seminavano 5300 starelli di grano e 1400 starelli di orzo.
La tradizione della coltivazione del grano non disgiunta spesso dalla necessità, è pervenuta sino ai nostri giorni. Durante il periodo della seconda guerra mondiale, la coltura dominante tra i cereali era quella del grano che veniva seminato, con rilevante dispendio di energie, anche in terreni impervi e sassosi'. lo imponeva la necessità il garantirsi almeno la certezza del pane quotidiano. Altre coltivazioni cerealicole si incentravano su orzo, avena, granoturco.
L'agricoltura riservava una cura particolare alla coltivazione dell'olivo e della vite. Di entrambi oltre alla raccolta e lavorazione dei generosi frutti, si raccoglieva anche la legna.

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